La promozione dell'autocrazia nella politica estera russa:

un confronto tra Armenia e Bielorussia

Abstract

L’influenza della Russia nel suo Estero Vicino (chiamato “Bližkoe zarubeže” in russo) ha creato una zona di permissività, in cui i paesi che vi si trovano all’interno possono ignorare i propri impegni democratici, essendo consapevoli che la loro lealtà alla Russia può schermarli da qualsiasi interferenza da parte degli USA o dell’UE. L’analisi delle relazioni bilaterali tra Armenia e Russia, da un lato, e tra Russia e Bielorussia dall’altro, ha portato all’identificazione dei quattro modelli di autocracy promotion: l’emulazione spontanea, le azioni di hard power (principalmente riguardanti interventi militari), i premi (facenti soprattutto riferimento all’assistenza di tipo economico) e le sanzioni negative (o i ricatti). Una combinazione di premi e sanzioni si è rivelata essere la tattica più frequente utilizzata dal Cremlino, la quale è stata ulteriormente facilitata dai deboli linkage e leverage che Armenia e Bielorussia hanno con i promotori occidentali della democrazia. La diplomazia “conservatrice” della Russia, la quale ha adottato un approccio realista, non è sfociata in una rigida politica di promozione dell’autoritarismo, ma i casi armeno e bielorusso dimostrano che in questi due regimi non democratici (ed anche in quelli dell’Asia Centrale) la presenza della Russia è più forte che nei regimi democratici, come le Repubbliche Baltiche. Le “sanzioni” della Russia contro la Bielorussia sono state meno di quelle dirette contro l’Armenia, dovendo ciò principalmente alla prossimità tra Russia e Bielorussia nell’arena culturale e alla posizione geopolitica strategica della Bielorussia in Europa Orientale. L’Armenia, dall’altro lato, è stata anche oggetto di un intervento militare diretto della Russia, che però si è limitato alla prima guerra dell’Artsakh.